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Offese Tenente dell’ Esercito Tre mesi di reclusione al Tenente di Vascello donna della Marina Militare

Prima il Tribunale militare di Napoli , poi la Corte Militare d’Appello di Roma ed ora la Cassazione. Nulla da fare per il Tenente di Vascello Donna che offese un Ufficiale dell’ Esercito.



La prima condanna arrivò dal Tribunale militare di Napoli che giudicò l’ufficiale donna della Marina Militare colpevole del reato di cui agli artt. 196, secondo comma, e 47, secondo comma, cod. pen. mil . pace, poiché, quale Tenente di Vascello della Marina Militare, Brigata “San Marco”, offendeva l’onere e il decoro di un Tenente dell’ Esercito italiano, profferendo frasi ingiuriose nei suoi confronti :”Non ti meriti il mio saluto, bamboccio … anzi quasi quasi ti mando a fare in culo“.

Era il  2015. L’episodio avvenne nella Caserma Carlotto, base operativa del Reggimento San Marco. Il Tenente dell’ Esercito non digerì l’offesa e informò i suoi superiori diretti. La vicenda finì prima in Procura Militare e successivamente presso il Tribunale Militare di Napoli. Nel 2017 il Tribunale comminò ai danni della marinaia una pena di tre mesi di reclusione militare, con la sospensione condizionale della pena . L’anno successivo, la Corte Militare d’Appello di Roma confermò la decisione dei giudici campani.

L’ufficiale della Marina allora tentò la via della Cassazione. Tramite il suo avvocato chiese l’annullamento della sentenza sulla base di alcune motivazioni, come ad esempio l’inesistenza di alcun rapporto di natura organica e gerarchica tra i due militari,  in quanto uno era un ufficiale del Genio Militare della Marina Militare e l’altro era un ufficiale dell’Esercito, sicché, se un’offesa si fosse realizzata, avrebbe dovuto contestarsi il diverso reato di cui all’art. 226 cod. pen. mil . pace, con applicazione della  condizione di procedibilità stabilita dall’art. 260 cod. pen. mil. di pace.

L’ ingiuria  “bamboccio” era stata profferita al di fuori del vincolo gerarchico e dell’attività militare risultando inesistente ogni forma di disciplina  durante la pausa pranzo, momento nel quale accadde l’episodio.


A detta dell’ avvocato della soldatessa,  inoltre, non era stato considerato che nella caserma “Carlotto”, al momento del fatto, stazionava una moltitudine di persone, ciascuno per proprio conto, non in adunanza, in assemblea, sicché erano del tutto inesistenti in quel momento il concetto di disciplina e l’ordine gerarchico, con l’effetto che l’ ufficiale della Marina non avrebbe potuto essere condannata in mancanza di questi due elementi fondamentali.

Secondo l’ articolata difesa della marinaia, oltretutto quell’insulto non aveva offeso l’onore il decoro del Tenente dell’ Esercito, il quale non aveva neanche sporto querela. Infine le espressioni adottate non avevano riguardato la capacità del destinatario di tenere la disciplina dei militari. ma, con l’adozione dell’espressione “bamboccio” si era soltanto formulato verso  l’interlocutore l’invito a crescere.

I giudici della Cassazione, con la sentenza resa nota nei giorni scorsi, hanno ritenuto manifestamente infondato il ricorso, in quanto la frase ingiuriosa profferita  all’indirizzo del tenente dell’ Esercito, era chiaramente collegata al servizio e alla disciplina militare, al di là dell’assenza di diretto rapporto di servizio fra i due Ufficiali.

Inoltre la vicenda si era consumata in ambito militare nel corso dell’avvicendamento di due contingenti costituiti da uomini dell’Esercito e uomini della Marina. Pertanto il ricorso è stato dichiarato inammissibile e la donna è stata condannata  al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, mentre rimane confermata la pena di tre mesi di reclusione ( pena sospesa con la condizionale).


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