Caro Max… Lettera di un cinofilo militare al proprio cane “pensionato”

Gigi e Max sono nomi di fantasia. La loro storia è una delle tante ma proprio per questo non una come tante. Una storia che avrebbe potuto scrivere qualsiasi graduato al proprio cane cinofilo, quando giunge inesorabile il momento “dell’ alienazione”.




Riceviamo e pubblichiamo

Caro Max,
mi hai giocato davvero un brutto scherzo. Te ne sei andato. Mi hai lasciato solo e se prima non riuscivo a farmene una ragione, adesso la rabbia sta pian piano lasciando il posto alla rassegnazione. Quante ne abbiamo fatte insieme, ricordi? Quante missioni all’estero, quanti interventi, quante scorribande, quanti controlli hai fatto per verificare che gli standard richiesti per essere un valido cane cinofilo fossero sempre elevati. Siamo stati una cosa sola per tanti anni. Gigi e Max. Una sola persona, un solo nome, un solo destino. Il mio intrecciato al tuo. E quando, a otto anni, ti hanno “mandato” in pensione, perché non “eri considerato più valido”, dovevi essere “alienato”, ne hai sofferto.

“Alienato”: un termine che mi ha sempre fatto impressione. Come se l’età anagrafica possa in qualche modo dettare cosa un animale può continuare o non può più continuare a fare. E con lui anche il suo conduttore. Già. Anche io, come te, al compimento dei miei 40 anni sono stato “cestinato”. Messo da parte. Non servivo più. Ricordare quel periodo mi mette sempre di cattivo umore e molto spesso impedisco alla mente di toccare una corda del mio animo che, ti confesso, mi fa male. Tu ormai vivevi in casa con noi, eri parte integrante della nostra famiglia, le bambine ti adoravano e a me sarebbe tanto piaciuto che mi venisse affidato un altro cane, non te lo nascondo, e non per sostituirti, ma per sentirmi ancora utile, indispensabile, vivo. Di questi tempi si ripete spesso che ‘senza lavoro non c’è dignità’, ed è vero.

Ma anche quando il lavoro ce l’hai ma non ti viene consentito svolgerlo a causa di leggi desuete, beh, anche quello significa perdere la propria dignità. Gli anni fino alla pensione si trascinano. Anche io sono un alienato, proprio come te, caro amico. Eppure ora non ho voglia di rivangare, di inveire contro qualcuno, di lasciare che il risentimento prendi il sopravvento sul ricordo: il tuo. Oggi è un giorno triste e voglio pensare solo a quello che ci siamo dati. All’amore incondizionato. Perdendo te, ho perso anche una parte di me stesso. Conserverò per sempre il tuo ricordo, non potrebbe essere altrimenti, e mi batterò finché avrò forza affinché ci sia giustizia ed equità sia per la razza canina, che tu hai degnamente rappresentato, sia per tanti come me che meritano una seconda occasione dopo che il loro amico a quattro zampe viene “spedito nel dimenticatoio”.

Gigi e Max sono nomi di fantasia. La loro storia è una delle tante ma proprio per questo non una come tante. Una storia che avrebbe potuto scrivere qualsiasi graduato al proprio cane cinofilo. Perché, amici lettori, l’unità cinofila è un’unità importante e prestigiosa all’interno della Forza Armata. I cani, insieme ai loro conducenti, sono protagonisti nei teatri di guerra, vengono impiegati in azioni di controllo quotidiano e costante, sorvegliano gli obiettivi strategici per il Paese, ricercano armi e munizioni e vengono impiegati in azioni di “bonifica” di aree ed infrastrutture.

Una dote accompagnata da allenamento ed addestramento costante, che privilegia tutte quelle attività finalizzate a rafforzare il legame affettivo ed i sentimenti di fiducia reciproca, di intesa ed affiatamento tra il cane e il conducente con annesso Training on Job: una sorta di tirocinio. Finché il cane cinofilo è operativo, fino agli otto anni di età, viene considerato un militare a tutti gli effetti, gode di diritti e di doveri. Gli vengono garantite le visite mediche, il cibo, viene medagliato. Insomma, tutto quello che si confà ad un militare in armi. Dopo cala il sipario. E il cane ha due strade: o essere affidato ad un civile o al conducente. Ed è naturale che quest’ultimo, con il quale ha trascorso gran parte della sua vita, creando un legame stretto, fraterno, decida di tenerlo con sé. Quello che in molti non sanno è che il conducente, dopo il pensionamento del suo amico a quattro zampe, si prende cura di lui in toto.



Dal cibo, alle visite, alle medicine in caso di malattia. Con denaro di tasca propria. E se il conducente non può permettersi queste cure costose? Ebbene, deve tirare la cinghia e fare economia in famiglia. Ed è qui che sta il paradosso: finché il cane è operativo è giusto tributargli i privilegi che si confanno alla sua condizione, ma quando non lo è più, non ha lo stesso il diritto a godere di una vecchiaia serena, magari tramite l’ausilio di un vitalizio che gli consenta di finire in serenità una vita gloriosa? Sorte non troppo diversa tocca al suo compagno. Se il conducente ha più di 40 anni non gli viene più affidato un altro cane. Secondo indiscrezioni, tutto ciò è assurdo, eppure c’è chi lo mette in atto. I conducenti vengono declassati, minati nella loro dignità, ridotti a svolgere mansioni per le quali non sono stati formati, non conformi al proprio background, mandando in malora anni di studi, addestramento e competenze.



Razionalmente, la scelta di “pensionare” il cane può essere anche comprensibile e giustificabile, ma quella di “pensionare”, di fatto, anche il militare che lo ha accudito, proprio no. A 40 anni si è nel pieno della propria attività lavorativa. Si hanno ancora la forza e il giusto bagaglio per offrire i propri servizi allo Stato. Alcuni dicono che la vita inizia a 40 anni. Perché per questi militari deve terminare? A chi giova questa decisione? E che beneficio se ne trae? Non possiamo fare altro che chiedere lumi e perciò facciamo un accorato appello al Co.I.R. del Comando Logistico al fine di farsi carico di questa annosa vicenda, certi che saprà fare gli interessi del personale come ha fatto in passato per gli A.Sa. e forti di quell’esempio sollevare la problematica affinché la sig.ra Ministro, dott.ssa Elisabetta Trenta si adoperi per una giusta risoluzione. Confidiamo molto nel suo operato e nella sua sensibilità.

Siamo molto curiosi di sapere il pensiero dell’ex Ministro, Michela Vittoria Brambilla, da sempre paladina dei diritti degli animali (celebre la sua battaglia per far chiudere il canile/lager di Green Hill dove erano stipati e maltrattati centinaia di beagle) che, di certo, non potrà rimanere indifferente a questa forma di discriminazione all’inverso operata ai danni degli amici a quattro zampe.

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